Leggo molto spesso delle conversazioni online tra autori di libri e addetti ai lavori: e la definizione di editing che emerge è legata il più delle volte alla “correzione” del testo.
Secondo molti (autori e professionisti), l’editor legge il testo e “corregge” ciò che non va. Tra l’altro, spesso gli editor stessi NON spiegano un aspetto fondamentale di questo lavoro, ovvero che le correzioni e le modifiche non vanno apposte secondo un gusto personale ma secondo criteri oggettivi (e forse il fatto che un editor non sappia spiegare la correzione apposta a volte potrebbe essere un modo per valutare se la sua segnalazione sia oggettiva oppure no).
Ma c’è di più.
Non la correzione del testo, ma la comunicazione al lettore
In vent’anni di lavoro sui libri (ho cominciato a occuparmi di editing nel 2004) ho capito che le correzioni sono solo uno strumento per raggiungere quello che è il vero scopo dell’editing.
Grazie alla mia esperienza, sono arrivata alla consapevolezza che:
per l’autore l’editing è un’opportunità per migliorare la comunicazione con il suo pubblico.
È questo il momento infatti perché il testo venga analizzato, per quello che è, da una terza persona, senza l’orgoglio genitoriale che molti autori hanno verso le loro “creature”, per evidenziare oggettivamente cosa non funziona (nella storia, nei personaggi, nelle ambientazioni, nel “viaggio dell’eroe”, ecc) e decidere come porvi rimedio, affinché al lettore arrivi il meglio di quella storia e non solo una bozza o un’idea dell’autore.
Infatti scrivere è un atto di comunicazione e non si può ignorare il ruolo del ricevente/lettore (soprattutto in un mondo in cui chiunque può fare una “recensione” che quando si ha l’obiettivo di vendere non ha solo il peso di un’opinione personale, ahimé).
L’editing dunque ha un ruolo fondamentale:
anticipare le possibili domande del lettore e far sì che il testo sia in grado di rispondere a tali domande oppure che esse non sorgano proprio, prima che il lettore se le ponga e venga distratto dalla lettura.
Così, in sostanza, l’editing può proprio evitare che tali domande vengano poste dal lettore dopo la pubblicazione. Mi riferisco in particolare al fatto che il lettore non deve arrivare a farsi domande che sorgano da una mancanza di coerenza interna al testo: il rischio è che venga meno la sospensione dell’incredulità, ovvero lasciare che il lettore scappi via senza rimanere immerso nella storia, perché ha sentito un campanello d’allarme che lo ha messo a disagio.
Editing di narrativa e copywriting a risposta diretta
In un certo senso scrivere narrativa non è molto diverso dallo scrivere per vendere con il copywriting a risposta diretta, perché nella “penna” di chi scrive c’è una grandissima responsabilità riguardo a ciò che il lettore percepisce.
Perciò l’editing dovrebbe intervenire per aumentare la qualità impercettibile del testo, quella che porta il testo a non avere errori sostanziali e che permette una sana sospensione dell’incredulità (per aumentare le vendite, se si trattasse di copywriting a risposta diretta).
C’è però una differenza fondamentale. Quando si scrive “copywriting a risposta diretta”, l’obiettivo è che il lettore veda “smontate” tutte le sue obiezioni e spesso tali obiezioni sono scritte in modo esplicito e “distrutte” con argomentazioni. Dopo un (buon) editing invece non ci devono essere “obiezioni” che galleggiano nel testo, il lettore dovrebbe abbandonarsi alla corrente e farsi trasportare dalla storia.
L’editing sono le grandi pulizie che si fanno prima di ricevere un ospite importante, il lettore, che non potrà mai sapere con esattezza cosa è stato fatto per accoglierlo al meglio e magari non si renderà mai conto del grande lavoro che c’è dietro.
…
Devo dire che il fatto aver iniziato a occuparmi di scrittura professionale di testi partendo dall’editing di storie di narrativa mi ha molto aiutato a individuare i punti critici nella comunicazione d’impresa.